Più che mai l’estate scorsa le persone hanno sentito il bisogno di viaggiare e di ritrovare quel contatto atavico con la natura. Il calo dei contagi, la riapertura dei servizi ricettivi e le restrizioni che hanno riguardato i viaggi all’estero hanno concentrato i flussi del turismo verso mete nazionali e le Dolomiti hanno dimostrato di essere una delle più raggiunte.
Ad un anno dall’inizio della pandemia la relazione tra uomo e ambiente cambia radicalmente: alla città e, in scala ridotta, alle mura domestiche, da sempre luogo di protezione e conforto, si associa un sentimento di limitazione da cui si avverte la necessità di fuggire.
Quello che accade è una transumanza, una migrazione stagionale, di una comunità che si muove verso un ambiente migliore alla ricerca di un benessere fisico e mentale.
La sconfinatezza del paesaggio delle Alpi diventa quindi il luogo sicuro in cui le persone ritrovano il significato della propria esistenza: le grandi vedute, gli orizzonti lontani si contrappongono alla chiusura e alle restrizioni del periodo appena superato e ci invitano alla riflessione, proiettandoci verso un futuro più consapevole.
Attraverso la composizione di immagini in dittici di grande formato, ho voluto restituire in scala il rapporto tra l’immensità del paesaggio e l’uomo, scegliendo un punto di vista distante dall’azione in modo da osservare, attraverso uno sguardo analitico, i comportamenti di una collettività che ritrova nella Natura un punto di inizio dal quale ripartire.